Una poetica giustizia vede la Juventus eliminata, con Andrea Agnelli che volta le spalle alla logica del calcio


Con l’ultima eliminazione da parte del Porto, il grande piano della Vecchia Signora, con l’acquisto di Cristiano Ronaldo, di vincere la principale competizione calcistica europea è fallito in maniera spettacolare.

Se Andrea Agnelli vuole riorganizzare il calcio europeo per assicurarsi che il suo club non perda così tanto, dovrebbe iniziare, forse, da quello che dovrebbe essere il gioco e il suo lavoro: costruire innanzitutto una squadra adeguata.

La Juventus invece è un grosso pasticcio malfunzionante, che è uscito dalla Champions League in uno di quegli episodi di poetica giustizia che lo sport regala.

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In morte di Diego Armando Maradona


Io non bestemmio, benedico, quando insegno che sopra tutte le cose si stende il cielo del caso, il cielo dell’innocenza, il cielo dell’impreveduto, il cielo dei capricci

F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra

Atzeca di Città del Messico, 22 giugno 1986. L’insolubile contraddizione che abbiamo chiamato per comodità Diego Armando Maradona è condensata in quei 5 minuti che passano dalla Mano de Dios al Goal del siglo. Il baro e il fenomeno, il bianco e il nero, il diavolo ingannatore e il Santo che riscatta il sud del Mondo, il calciatore miliardario e l’amico dei leader socialisti.

Chi è stato veramente Diego Armando Maradona niente ce lo racconta meglio di questa foto, scattata appena terminata la sfida dell’Atzeca. Sullo sfondo l’immensità dello stadio, gli ultimi giocatori inglesi che lasciano il terreno di gioco mentre Maradona si ferma al centro del campo accerchiato dai fotografi. E guarda in camera, coprendosi la bocca con la maglia. La posa è quella di un bambino birichino che nasconde il sorriso sospeso, come in cerca del perdono dell’adulto per la marachella combinata.

Perché alla fine Maradona è stato soprattutto questo, un adulto che non hai mai smesso di vedere il calcio e la vita con gli occhi del fanciullo, colmo di amore per chi gli stava vicino, insofferente alle ingiustizie e alle punizioni, incapace di fare pace con il mondo come facciamo tutti a una certa età, quando scendiamo a compromessi con le brutture della vita pur di andare avanti senza impazzire. Maradona no, mai, fino all’autolesionismo. Se qualcosa non gli piaceva non usava certo formule di comodo per farlo sapere. Come il Don Bastiano del Marchese del Grillo non ha mai chinato la testa davanti a nessuno se non alla morte. E ne ha pagato le conseguenze. Perché quando si evidenziano gli eccessi, gli errori e le cadute ci ci dimentica troppo spesso di ricordare anche che Maradona ha fatto male soprattutto a sé stesso.

Ha vissuto così, di grandi esaltazioni e profonde depressioni, gesti nobili e fughe precipitose, dichiarazioni di amore incondizionato e insulti volgari. La contraddizione è rimasta irrisolta, perché Maradona non ha mai accettato il mondo corrotto degli adulti, non ha mai tradito il bambino che portava dentro di sé. Ha vissuto di momenti, come rimpiangeva di non aver fatto abbastanza il suo connazionale più famoso Jorge Luis Borges, forse anche lui avrebbe voluto essere Maradona alla fine della giostra.

Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita 
nella prossima cercherei di fare più errori 
non cercherei di essere tanto perfetto, 
mi negherei di più, 
sarei meno serio di quanto sono stato, 
difatti prenderei pochissime cose sul serio. 
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne, 
nuoterei più fiumi, 
andrei in posti dove mai sono andato, 
mangerei più gelati e meno fave, 
avrei più problemi reali e meno immaginari. 
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente 
e precisamente ogni minuto della sua vita; 
certo che ho avuto momenti di gioia 
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti. 
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi. 
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro, 
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute; 
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera 
e continuerei così fino alla fine dell'autunno. 
Farei più giri nella carrozzella, 
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.

Piergiuseppe Mulas per Mondocalcio.

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Géza Kertész, lo Schindler di Catania


Nell’ottobre 2015 un gruppo di tifosi del Catania ha l’idea di abbellire le pareti esterne dello stadio Massimino con un murales raffigurante i principali protagonisti della storia del Calcio Catania, nasce così il progetto “50 volti per il Cibali“. Da un anno a questa parte all’esterno dello stadio Massimino di Catania è finalmente possibile ammirare gli oltre 200 metri di murales realizzati da Andrea Marusic raffiguranti le 50 personalità scelte per rappresentare la storia della squadra rossazzurra. Tra di loro è presente anche un certo Géza Kertész, nome che molto probabilmente vi dirà poco o nulla, e che fino a poco tempo fa era pressoché sconosciuto anche presso i tifosi della squadra etnea. E pensare che per farlo includere tra gli eroi rossazzurri è sorto addirittura un comitato cittadino, che prima è riuscito a ottenere l’intitolazione di una pubblica via e dopo, grazie anche a una petizione su change.org, a farlo ricomprendere tra i protagonisti immortalati da Marusic. A questo punto vi starete chiedendo chi diavolo sia Géza Kertész e cosa abbia mai fatto per meritarsi una simile attenzione.

murales massimino

Il murales di Marusic, Géza Kertész è il secondo da sinistra

Nato a Budapest nel 1894 quando l’Ungheria era ancora parte della corona asburgica Géza Kertész fu un discreto giocatore, descritto dalle cronache come un centrocampista molto elegante e intelligente con l’unico difetto di essere lento, tanto da meritarsi il soprannome di “bradipo”, militò nella fila del Budapest Torna Club e nel Ferencváros.
Smessi i panni del calciatore si trasferì in Italia per allenare, come tanti altri protagonisti del calcio magiaro dell’epoca, tra tutti Árpád Weisz, tuttora il più giovane allenatore a vincere il campionato con l’Inter nel 1930 a soli 34 anni. Una triste sorte accomunerà Weisz e Kertész, come vedremo. Dopo l’esordio con la Carrarese nel 1931 approda, dopo due brevi esperienze con Viareggio e Salernitana, nella Catanzarese, come si chiamava allora la squadra giallorossa. Sotto la guida del tecnico magiaro le Aquile del sud raggiunsero nel 1933 la storica promozione in serie B, prima volta assoluta per squadra calabrese. Tanto fu l’affetto guadagnato che al termine della trionfale stagione Kertész, quando lasciò Catanzaro, fu scortato alla stazione da una folta comitiva di tifosi che lo sommerse dei doni.
Kertész attraversò lo stretto e si accasò a Catania, ottenendo subito la promozione dalla Prima divisione (l’attuale Serie C) e sfiorando l’anno seguente la promozione in Serie A. Divenne un idolo indiscusso, tanto da decidere di rimanere un altro anno, un record per uno come lui, che nel suo peregrinare per la penisola non si fermerà in nessun luogo per più di 2 stagioni. Dopo i successi col Catania Kertész guida il Taranto ad una immediata promozione in serie B (la quarta della carriera). L’anno seguente il Taranto retrocede, e mentre i connazionali Weisz ed Erbstein sono costretti a lasciare il calcio italiano a causa delle leggi razziali, in quanto ebrei, lui lascia la squadra pugliese per l’Atalanta, con la quale sfiora la promozione in Serie A. Viene chiamato dalla Lazio di Piola con la quale ottiene un ottimo quarto posto. Nel frattempo la guerra è scoppiata, il Regno d’Ungheria è schierato con l’Asse e per lui non ci sono problemi di natura politica, ma il calcio finisce per passare inesorabilmente in secondo piano. Nel 1942 si siede sulla panchina della Roma campione d’Italia, ma viene esonerato.

kertész

A questo punto Kertész decide di tornare in patria, ad attenderlo a Budapest c’è l’ex compagno di squadra István Tóth, anche lui con un passato di allenatore in Italia. Solo che i due smettono le tute, abbandonano le lavagnette e anziché dedicarsi al loro amato sport mettono su un’organizzazione resistenziale, che riesce a salvare centinaia di ebrei e dissidenti ungheresi dai campi di sterminio nazisti, ma non Árpád Weisz, che muore ad Auschwitz il 31 gennaio del 1944.
Nel dicembre del 1944 un delatore rivela alla Gestapo che Kertész nasconde un ebreo in casa, i due vengono arrestati e il 6 febbraio, con l’Armata Rossa ormai alle porte, i nazisti li fucilano, una settimana prima della resa delle ultime unità tedesche accerchiate nella capitale magiara. Ai funerali partecipano migliaia di persone, Kertész viene seppellito nel cimitero degli eroi.
Nonostante l’impegno nelle fila della resistenza la sua figura viene a lungo dimenticata a causa del suo passato nazionalista, era stato infatti un ufficiale dell’Impero Austroungarico, che non è visto di buon occhio dalla neonata Repubblica Popolare. La riscoperta della gesta eroiche, che gli sono valse il soprannome di Schindler di Catania, si deve agli autori di “Tutto il Catania minuto per minuto“, che per primi hanno riportato alla luce questa pagina dimenticata di eroismo e pallone. Grazie a loro e alla determinazione del comitato pro-Géza Kertész in occasione del 70 anniversario della Liberazione il comune di Catania ha annunciato che finalmente Géza Kertész avrà la sua via, e da un anno a questa parte ha anche il suo murales.

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