Il campionato ineguale. La serie A senza Sud


di Carlo Maria Miele*

L’assoluta mancanza di rappresentatività della nostra serie A è un fenomeno tanto vecchio e consolidato che si ha difficoltà anche a identificarlo.

Dando uno sguardo al contesto europeo si capisce che nessun campionato sconta una distribuzione altrettanto ineguale di club di prima fascia sul proprio territorio.

In Inghilterra vincono le squadre di Londra come quelle di Manchester o Liverpool. In Germania dominano i “terroni” del Bayern, ma c’è spazio anche per quelli del nord, dal Brema all’Amburgo. La Spagna fa storia a sé, con il duopolio Real-Barca, ma un ruolo importante nella primera division lo gioca anche la “periferia”, da Villareal a Malaga, fino a Pamplona. Niente di analogo succede dalle nostre parti.

In serie A, il Sud semplicemente non c’è mai stato. Un cambio di rotta è possibile individuarlo solo negli ultimi anni, a patto di essere ottimisti. Non parliamo ovviamente di successi delle squadre del Mezzogiorno, che – com’è noto – si contano sulle dita di una mano: uno scudetto vinto dal Cagliari nel lontano 1970, due dal Napoli, racchiusi nello straordinaria era Maradona. Le squadre meridionali hanno storicamente difficoltà persino ad arrivarci in serie A, fosse anche per fare una comparsata.

Dal 1929 (primo campionato a girone unico) a oggi, solo 13 squadre meridionali sono riuscite a realizzare il sogno di affacciarsi sul palcoscenico più prestigioso del nostro calcio. Il club di gran lunga più presente è il Napoli (68 stagioni su 82), seguito da Cagliari (35), Bari (30) e Palermo (26). Sotto la soglia dei venti campionati in A ci sono Catania (17), Lecce (15), Foggia (11), Avellino (10), Reggina (9), Catanzaro (7), Pescara (6), Messina (5) e Salernitana (2).

Con pochissime eccezioni si tratta delle città più grandi del Sud. In ogni caso, sempre di capoluoghi di regione o provincia, dai 60 mila abitanti in su. Le storie belle da raccontare, quelle delle cenerentole arrivate al palazzo reale, non esistono. Casi analoghi a quelli del Legnano o della Pro Patria di Busto Arsizio (in serie A negli anni Cinquanta), del Lecco (in massima serie negli anni Sessanta) o, in tempi più recenti, dell’Empoli e del Sassuolo, al Sud non si sono mai visti. Anzi all’appello dei club che hanno militato almeno una volta in A mancano alcuni capoluoghi di regione meridionali (Campobasso, L’Aquila e Potenza) e città di media grandezza come Taranto.

Conseguenza: una generale mancata rappresentatività della popolazione della penisola. Un’anomalia nel contesto europeo, che ne rispecchia altre di ben diversa portata. Per verificarlo è sufficiente un confronto tra il peso demografico della popolazione meridionale sul totale nazionale nel corso dell’ultimo secolo e il numero delle sue squadre di riferimento. Mentre il primo termine (quello demografico) è rimasto, in percentuale, pressoché costante, il secondo ha subito delle variazioni, restando tuttavia sempre e sensibilmente inferiore. La percentuale di popolazione meridionale, infatti, si è attestata – dagli anni Trenta a oggi – attorno al 35% del totale, con un picco del 37,2% nell’immediato dopoguerra (censimento del 1951) e una punta minima del 34,4% raggiunta nell’ultimo censimento (2011).

Il numero di squadre meridionali in serie A, invece, è arrivato solo una volta a toccare il 31%, nella lontana stagione 1979/80, con Avellino, Cagliari, Catanzaro, Napoli e Pescara (in un campionato ancora a 16 squadre). Mediamente in 82 campionati la “quota meridionale” si è attestata attorno al 16,6%, e spesso (in ben 23 campionati) è stata di circa il 10%: solo una squadra su 10 veniva dal Sud.

Analizzando i dati con un po’ di ottimismo si può individuare una progressiva inversione di tendenza negli ultimi quarant’anni. In questo lasso di tempo la percentuale di club meridionali è cresciuta, attestandosi poco al di sotto della soglia del 20%, e superandola nei favolosi anni Ottanta.

Qualcosa di ancora più significativo è avvenuto negli ultimi dieci anni: dal 2004/05 al 2007/08 i club del Sud hanno rappresentato almeno il 25% di quelli di serie A, vale a dire 1 su 4. Più di recente, e per tre volte (2008/09, 2010/11 e 2012/13) sono arrivati a toccare il 30%. Certo, per affermare con sicurezza che il vento sia cambiato, per parlare di una vera svolta, la tendenza dell’ultimo decennio andrebbe confermata.

Nella stagione in corso, il numero di squadre meridionali si è nuovamente dimezzato. A rappresentare il Sud sono oggi solo tre club (Napoli, Cagliari e Catania), pari al 15% del totale. Una di loro (il Catania) rischia seriamente di retrocedere in B e, per ora, solo una meridionale (un’altra siciliana, il Palermo) ha la quasi certezza di rimpiazzarla il prossimo anno.

Insomma, tutto come prima?

* pubblicato su Limes l’8 aprile 2014

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